Paolo Pantani, "Marco dava fastidio"
Il babbo di Marco Pantani, intervistato da Pier Luigi Martelli per "Il Resto del Carlino", ha parlato del Pirata, a 10 anni dalla sua morte:
Dove sarebbe oggi Marco?
«In bicicletta, fra i bambini, a insegnare la passione... Marco ce lo aveva sempre detto: ‘voglio far vedere ai giovani come ci si comporta nello sport’. Ed invece a Madonna di Campiglio, quando gli hanno rubato il Giro, lo hanno fatto passare per un dopato. Lo insultavano se lo incrociavano in bicicletta. I carabinieri, alle sei del mattino, gli venivano a notificare gli atti di sette procure, sette, dico sette, neanche fosse stato un delinquente... A Marco il mondo è crollato...».
E come aveva iniziato ad andare in bici?
«A 12 anni, per una presa in giro. Gli amichetti di una società ciclistica, prima dell’allenamento, l’avevano sfidato, lui che giocava a calcio nel Cesenatico. Prese la bicicletta di sua mamma e al primo cavalcavia staccò tutti di 150 metri. L’allenatore lo fermò e gli disse che gli avrebbe dato bici da corsa e maglietta a patto che io gli avessi comprato gli scarpini...»
E lei glieli comprò?
«Non subito. I soldi non erano tanti. Prima li chiese a mia moglie, ma io volevo che fosse lui a venire da me. Alla fine venne, ma accompagnato dall’allenatore, non si azzardava...».
La prima vittoria?
«Vicino a Cesena, l’anno dopo, il 1983... Veniva sempre battuto in volata, allora gli misi di nascosto un biglietto nella tasca della maglietta con scritto ‘attacca prima del traguardo’. Lui si ritrovò tra le mani quel foglio e partì. Non lo vide più nessuno».
Ma dopo il magico 1998 non aveva per caso pensato al ritiro?
«E perchè? Marco non faceva mica fatica a correre. Aveva 34 battiti al minuto. Era andato anche a Quark. Al mondo c’erano meno di cento atleti come lui».
Chi lo ama dice che lo hanno incastrato. E perchè?
«Perchè Marco dava fastidio. Stava oscurando il calcio, la Formula 1, tutto. E perchè Marco era un bersaglio facile, un puro. Ullrich, Armstrong sì erano dopati, lo hanno ammesso a fine carriera, ma non li hanno mai toccati...».
Dieci anni dopo cosa non rifarebbe. Magari lasciarlo solo in una camera d’albergo?
«Marco scappava da casa, dai carabinieri, dalle procure, da tutto. Ma non era arrabbiato con me. Anzi, vedeva che mi battevo per lui, io che volevo spaccare la faccia ai suoi spacciatori. Mi diceva di lasciare perdere... ‘Babbo, smetto quando voglio, ma così almeno così sto sereno per un po’. Ero stato anche a San Patrignano, mi avevano detto di non assillarlo, doveva essere lui a chiedere aiuto...»
Oggi quei bambini però corrono nel nome di Marco...
«Con la fondazione abbiamo realizzato il suo sogno. Due squadre di ragazzini, una qui e una in Croazia. Il Pirata è ancora un mito dappertutto, nonostante tutto».
Dove sarebbe oggi Marco?
«In bicicletta, fra i bambini, a insegnare la passione... Marco ce lo aveva sempre detto: ‘voglio far vedere ai giovani come ci si comporta nello sport’. Ed invece a Madonna di Campiglio, quando gli hanno rubato il Giro, lo hanno fatto passare per un dopato. Lo insultavano se lo incrociavano in bicicletta. I carabinieri, alle sei del mattino, gli venivano a notificare gli atti di sette procure, sette, dico sette, neanche fosse stato un delinquente... A Marco il mondo è crollato...».
E come aveva iniziato ad andare in bici?
«A 12 anni, per una presa in giro. Gli amichetti di una società ciclistica, prima dell’allenamento, l’avevano sfidato, lui che giocava a calcio nel Cesenatico. Prese la bicicletta di sua mamma e al primo cavalcavia staccò tutti di 150 metri. L’allenatore lo fermò e gli disse che gli avrebbe dato bici da corsa e maglietta a patto che io gli avessi comprato gli scarpini...»
E lei glieli comprò?
«Non subito. I soldi non erano tanti. Prima li chiese a mia moglie, ma io volevo che fosse lui a venire da me. Alla fine venne, ma accompagnato dall’allenatore, non si azzardava...».
La prima vittoria?
«Vicino a Cesena, l’anno dopo, il 1983... Veniva sempre battuto in volata, allora gli misi di nascosto un biglietto nella tasca della maglietta con scritto ‘attacca prima del traguardo’. Lui si ritrovò tra le mani quel foglio e partì. Non lo vide più nessuno».
Ma dopo il magico 1998 non aveva per caso pensato al ritiro?
«E perchè? Marco non faceva mica fatica a correre. Aveva 34 battiti al minuto. Era andato anche a Quark. Al mondo c’erano meno di cento atleti come lui».
Chi lo ama dice che lo hanno incastrato. E perchè?
«Perchè Marco dava fastidio. Stava oscurando il calcio, la Formula 1, tutto. E perchè Marco era un bersaglio facile, un puro. Ullrich, Armstrong sì erano dopati, lo hanno ammesso a fine carriera, ma non li hanno mai toccati...».
Dieci anni dopo cosa non rifarebbe. Magari lasciarlo solo in una camera d’albergo?
«Marco scappava da casa, dai carabinieri, dalle procure, da tutto. Ma non era arrabbiato con me. Anzi, vedeva che mi battevo per lui, io che volevo spaccare la faccia ai suoi spacciatori. Mi diceva di lasciare perdere... ‘Babbo, smetto quando voglio, ma così almeno così sto sereno per un po’. Ero stato anche a San Patrignano, mi avevano detto di non assillarlo, doveva essere lui a chiedere aiuto...»
Oggi quei bambini però corrono nel nome di Marco...
«Con la fondazione abbiamo realizzato il suo sogno. Due squadre di ragazzini, una qui e una in Croazia. Il Pirata è ancora un mito dappertutto, nonostante tutto».
Paolo Pantani, "Marco dava fastidio"
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